LO ABBIAMO CHIESTO AL DOTT. ANTONIO SACCONE, RESPONSABILE DELL’UFFICIO LEGALE DELL’ISPETTORATO DEL LAVORO CHIETI PESCARA
Con l’entrata in vigore del Decreto Dignità nonché alla luce della Sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 9.11.2018, la materia dei risarcimenti per licenziamenti illegittimi ha subito sensibili modifiche.
Proviamo a fare il punto della situazione.
Ci illustri per sommi capi l’evoluzione normativa che ha subito nel corso degli anni la materia della cd. “flessibilità in uscita” (licenziamenti), da sempre uno dei temi che più hanno appassionato gli operatori in diritto del lavoro?
La materia è stata per molti anni disciplinata dall’art. 18 della legge 300/70 (Statuto dei lavoratori), che prevedeva la reintegra automatica nel posto di lavoro in tutti i casi di licenziamenti illegittimi.
In seguito alla stagione delle battaglie, intraprese soprattutto dal mondo delle imprese per la soppressione dell’art. 18, fu emanata la legge Fornero, che ne ridimensionò fortemente la portata ed introdusse anche ipotesi in cui era previsto, oltre alla reintegra nel posto di lavoro, il risarcimento economico.
Inoltre, nell’ambito della complessa riforma del mercato del lavoro intervenuta con il cd. Jobs Act nell’anno 2015, la disciplina dei risarcimenti per i licenziamenti fu ulteriormente rivisitata con uno dei decreti attuativi del Jobs Act, il D.lgs. n. 23/2015, entrato in vigore in data 7.3.2015, noto con il nome di “tutele crescenti”.
In estrema sintesi, il legislatore del D.lgs. n. 23/2015 – per i licenziamenti di lavoratori assunti dopo il 7.3.2015, dichiarati illegittimi – stabilì che la misura del risarcimento fosse legata agli anni di lavoro del prestatore, prevedendo che essa crescesse (ecco perché “a tutele crescenti”) con gli anni di servizio del lavoratore.
Nello specifico, la norma fissò la misura del risarcimento legata ad un meccanismo che prevedeva l’erogazione a lavoratori illegittimamente licenziati da un’azienda “grande”(cd. in regime di tutela reale), da intendersi tale quella che occupa più di 15 dipendenti, di n. 2 mensilità per ogni anno di lavoro (n. 1 mensilità per le aziende “piccole”, in regime di cd. tutela obbligatoria, da intendersi tali quelle con meno di 15 dipendenti), da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità (per le aziende grandi) e da un minimo di 2 ad un massimo di 6 mensilità (per le aziende piccole).
Cosa è cambiato con il Decreto Dignità e con la sentenza C.C. n. 194/2018?
Il Decreto Dignità, entrato in vigore in data 14 luglio 2018, ha stabilito che da quest’ultima data – per i lavoratori assunti dopo il 7.3.2015 e licenziati illegittimamente – la misura del risarcimento va da un minimo di 6 ad un massimo di 36 mensilità (per le aziende grandi) e da un minimo di 3 ad un massimo di 6 mensilità (per le aziende piccole).
La Sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale, invece, ha dichiarato illegittimo l’art. 3, comma 1 del D.lgs. n. 23/2015 sui contratti cd. a tutele crescenti, nella parte – non modificata dal Decreto Dignità – in cui determina in modo rigido (n. 2 mensilità per ogni anno di servizio nelle aziende in regime di tutela reale e n. 1 mensilità nelle aziende in regime di tutela obbligatoria) l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato.
Allo stato, dunque, abbiamo una situazione che prevede una regolamentazione della materia dei risarcimenti per lavoratori ingiustamente licenziati, che tiene conto della data della loro assunzione, differenziando la disciplina a seconda che il rapporto di lavoro sia sorto prima o dopo il 7.3.2015.
Infatti, per i lavoratori assunti prima del 7.3.2015 si applicano – in materia di indennità risarcitorie per licenziamenti illegittimi – le previsioni di cui alla legge Fornero, mentre per i lavoratori assunti dopo il 7.3.2015 vige la disciplina del Jobs Act, come modificata dal Decreto Dignità, tenuto conto della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla citata Sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale.
Quale è dunque la misura del risarcimento per un lavoratore licenziato in maniera illegittima?
Se il lavoratore è stato assunto prima del 7.3.2015, in ossequio alle previsioni della legge Fornero, la misura del risarcimento per licenziamento illegittimo varia da 12 a 24 mensilità, tenendo conto di una serie di parametri quali anzianità di servizio ed anagrafica del lavoratore, dimensioni dell’azienda e dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti ecc.
Per lavoratori assunti dopo il 7.3.2015, invece, avendo la Corte Costituzionale statuito – con la sentenza n. 194/2018 – che “la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”, sostanzialmente dichiarando illegittimo, disapplicandolo, il criterio dell’individuazione della misura risarcitoria in ragione solo degli anni di servizio del lavoratore licenziato, il risarcimento per licenziamento illegittimo andrà da un minimo di 6 ad un massimo di 36 mensilità (per le aziende in regime di tutela reale) e da un minimo di 3 ad un massimo di 6 mensilità (per le aziende in regime di tutela obbligatoria), tenendo conto tuttavia anche in tali casi dei normali criteri utilizzati per l’individuazione della misura del risarcimento (età del lavoratore, anzianità di lavoro, numero dei dipendenti dell’azienda, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti ecc.).