La materia dell’accesso agli atti è regolamentata, come noto, dalla legge 241/90 e s.m.i.
Come è agevolmente intuibile, anche presso l’Ispettorato del Lavoro sono frequenti le istanze di accesso agli atti amministrativi.
La tematica è espressamente disciplinata da apposito regolamento governativo, emanato in attuazione della suddetta legge 241/90 (il Decreto del Ministro del Lavoro 4 novembre 1994, n. 797), che è ancora vigente.
Quali sono gli atti e i documenti per i quali vengono fatte più di frequente istanze di accesso all’Ispettorato del Lavoro?
I lavoratori richiedono principalmente l’accesso alle denunce che hanno presentato all’Ispettorato, essenzialmente perché servono loro per avere prestazioni previdenziali (NASPI, maternità ecc.); inoltre, chiedono anche l’accesso alle buste paga, quando non sono state loro consegnate dal datore di lavoro (e l’Ispettorato le ha acquisite nel corso degli accertamenti) e non hanno percepito gli importi in esse indicate: ciò al fine di attivare azioni di recupero delle spettanze non corrisposte.
I datori di lavoro, invece, dopo aver ricevuto il verbale ispettivo di contestazione di irregolarità, richiedono quasi sempre – per asserite esigenze di difesa – di accedere ovvero di prendere visione delle dichiarazioni che hanno rilasciato i lavoratori agli ispettori durante le indagini amministrative.
Come si comporta l’Ispettorato del Lavoro di fronte a tali istanze?
Le richieste dei lavoratori di accedere alle loro denunce sono di regola accolte, poiché attraverso l’acquisizione delle stesse essi possono di norma percepire un trattamento previdenziale.
Si pensi, ad esempio, ad una lavoratrice in gravidanza cui il datore di lavoro non ha corrisposto il relativo trattamento economico; producendo all’INPS la denuncia presentata all’Ispettorato, dimostra all’Istituto previdenziale l’inadempimento dello stesso datore di lavoro e, quindi, l’INPS può determinarsi ad erogarle il trattamento.
Oppure, si pensi ad un lavoratore che si è dimesso per giusta causa perché non è stato retribuito dal datore di lavoro; producendo all’INPS la denuncia presentata all’Ispettorato, egli dimostra che ha intrapreso un’azione nei confronti del datore di lavoro, il che è un chiaro segnale dell’inadempimento di quest’ultimo, per cui l’INPS può concedere il trattamento di NASPI per disoccupazione involontaria del lavoratore.
Anche per quanto riguarda la richiesta dei lavoratori di accedere alle buste paga non consegnate loro dal datore di lavoro e per le quali non vi è stata la corresponsione degli importi in esse indicati, di regola l’Ispettorato la accoglie, atteso che in tal modo fornisce agli stessi lavoratori uno strumento per vedere assicurata una loro tutela.
In sintesi, quando la richiesta di accesso agli atti proviene dal lavoratore ed è finalizzata ad assicurare il rispetto di una sua tutela (salariale e/o previdenziale), di regola l’accesso è consentito.
Viceversa, la richiesta del datore di lavoro, che ha avuto un verbale ispettivo, di accedere agli atti del fascicolo (e più specificatamente, come avviene quasi sempre, alle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori nel corso degli accertamenti che lo hanno riguardato), per espressa previsione del regolamento governativo citato (il DM 797/94) non trova accoglimento, l’accesso viene cioè negato finchè è in corso il procedimento ispettivo e fino a quando è in vita il rapporto di lavoro dei lavoratori alle cui dichiarazioni è richiesto l’accesso.
Le ragioni del diniego in tali casi sono di intuitiva evidenza: in primo luogo, essendo ancora in corso il procedimento ispettivo (e, dunque, essendo ancora in essere indagini e valutazioni amministrative), l’accesso alle dichiarazioni dei lavoratori è differito al momento della conclusione dello stesso procedimento ispettivo.
Per altro verso, è abbastanza agevole comprendere che – qualora i datori di lavoro venissero a conoscenza delle dichiarazioni rese dai lavoratori agli organi di vigilanza finchè è in vita il rapporto di lavoro – ben potrebbe aversi da parte loro un atteggiamento ritorsivo verso i lavoratori, se le dichiarazioni fossero contrarie agli interessi dello stesso datore. E, in ogni caso, se viene consentito al datore di lavoro l’accesso alle dichiarazioni dei lavoratori, vi è un evidente rischio che venga meno la principale fonte di prova per accertare le condotte illecite del medesimo datore: nessuno o pochissimi, infatti, rilascerebbero più dichiarazioni all’organo di vigilanza.
Ma in questo modo non si lede il diritto di difesa del datore di lavoro?
No.
Tutta l’evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni si è indirizzata, infatti, nel senso di ritenere che la p.a. debba acquisire ogni informazione necessaria per espletare un efficace accertamento ispettivo onde realizzare l’interesse pubblico che le è affidato in cura (la regolarità dei rapporti di lavoro); tale interesse pubblico, peraltro, è anche garantito costituzionalmente e, per tale motivo, è sicuramente preminente rispetto all’eventuale diritto alla difesa del datore di lavoro.
L’interesse pubblico in parola, poi, sarebbe fortemente compromesso dalla comprensibile riluttanza dei lavoratori a rilasciare dichiarazioni allorchè non si accordasse ad essi la segretezza delle informazioni da loro rese.
Inoltre, l’esigenza di riservatezza di chi rende dichiarazioni a pubblici ufficiali nonché la tutela dei lavoratori da eventuali ritorsioni da parte del datore di lavoro sono comunque preminenti rispetto al diritto alla difesa di chi intende ricorrere, che è in ogni caso garantito dall’obbligo di motivazione dei provvedimenti sanzionatori e dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto comunque a possedere.
Sostanzialmente, viene esclusa la possibilità per il datore di lavoro di accedere alle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori ai funzionari ispettivi poiché da un lato i provvedimenti di contestazione devono essere in ogni caso motivati (e ciò è già di per sé sufficiente a garantire il soggetto che intende far valere le proprie ragioni di difesa).
Per altro verso, si ritiene che non vi siano motivi per il datore di lavoro di acquisire altra documentazione (quale ad esempio le dichiarazioni dei lavoratori), quando egli è già in possesso della documentazione relativa ai rapporti di lavoro per cui interviene la contestazione.
Visto che l’accesso alle dichiarazioni dei lavoratori è da ritenersi differito al momento della conclusione del procedimento ispettivo, quando si conclude quest’ultimo?
In questo ambito spesso si fa confusione; di solito, quasi tutti gli operatori pensano che il procedimento ispettivo sia concluso quando il trasgressore (datore di lavoro) riceve il verbale di contestazione delle irregolarità accertate. Ma non è così!!!
In quel momento, infatti, si conclude l’ispezione, non l’intero procedimento, che è suscettibile ancora dell’espletamento di ulteriori fasi; infatti, il trasgressore può presentare un ricorso amministrativo avverso il verbale oppure scritti difensivi, chiedendo anche di essere ascoltato, in tal modo partecipando attivamente al procedimento.
Solo all’esito di tali ulteriori fasi, l’autorità procedente (l’Ispettorato del Lavoro) emette il provvedimento finale del procedimento, che è un’ordinanza ingiunzione o di archiviazione; dopo l’emissione dell’ordinanza ingiunzione può esercitarsi da parte del destinatario il diritto di accesso alle dichiarazioni dei lavoratori per esigenze di difesa, poiché solo in tale fase può essere proposta l’opposizione giudiziaria avverso il provvedimento finale dell’Ispettorato.